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lunedì 30 settembre 2013

Apostasia


Tutti gli idoli svaniscono di fronte all’energia straordinaria di quest’ultimo, dell’Idolo: che all’individuo, a ciascun individuo, spetti godere, senza alcun limite esterno, di tutto il potere che può. E tuttavia, nelle maglie di quest’Idolo tutte le volontà sono irretite; di fronte ad esso tutte si genuflettono; in esso si eguagliano, si confondono, divengono infinita moltitudine. Si forma così il corpo dell’Anticristo, come “società” degli ultimi uomini. Essi danno vita a “un solo gregge”, ma è un gregge che non tollera pastori, poiché il “pastore” già detta dall’interno di ogni loro movimento e pensiero: che felicità sia a vostra misura; “Che cos’è amore? E creazione? E anelito? E stella?”; è compiuto l’uomo; “si avvicinano i tempi in cui l’uomo non scaglierà più la freccia anelante al di là dell’uomo” (Nietzsche, Prologo di Zarathustra) .

Nessuna anarchia; all’opposto: arché, principio e guida spettano all’ultimo uomo rappresentato dall’Antikeimenos; ma qui l’idea di rappresentazione gioca in forma capovolta rispetto alla figura del katechon
L’Avversario “rappresenta” gli ultimi uomini, che ne costituiscono corpo e energia, predicando la loro “libertà” da ogni “rappresentante”, la loro compiuta autonomia. L’Avversario rappresenta de-costruendo ogni rappresentabilità. 
L’ordine dell’Antikeimenos deve essere sentito dall’ultimo uomo come privo di ogni valenza rappresentativa. L’essere-rappresentati finisce con l’apparirgli sinonimo di violenza o coercizione. È, alla fine, l’idolo del Sé che egli adora. In questo modo l’Empio si oppone a ogni katechon, fino a sradicarlo. Egli “rappresenta” le forze non contenibili, e perciò non rappresentabili, dell’ultimo uomo. Ma irrappresentabile diviene, con ciò stesso, anche ogni trascendente, anzi: l’idea stessa che l’uomo ek-sista in quanto facoltà di trascendersi. Della pura immanenza, chiusa in sé, è impossibile farsi immagine, così come della sovra-essenzialità divina. 
Esausto si fa allora il tempo messianico di fronte all’energia dell’ultimo uomo. Non vi è né Fine, né attesa, se non quella che sempre si ripete della soddisfazione del proprio individuale appetito. L’ultimo uomo eternamente ritorna (il convalescente, in Così parlò Zarathustra), in un’infinita durata scandita dalla produzione e riproduzione dei bisogni. Nella sua inospitale individualità egli è perciò anche l’essere più dipendente che si possa concepire – dipendente dal sistema “universale” che quella produzione e riproduzione assicura. Egli vive, in ogni senso, soltanto nella sua rete. Irretito nel potere dell’Antikeimenos, incapace di innalzarsi. 
La sua epoca – che egli pretende compimento non solo della storia, ma dello stesso genere “uomo” – è quella della rete, proprio nella sua metafisica differenza rispetto al segno della croce, nella sua radicale anticristicità. Le direzioni della prima si dispongono integralmente sull’orizzontale, e il suo progetto consiste nell’annullare nell’hic et nunc dello spazio globale il senso stesso del tempo escatologico-messianico; quelle della croce, all’opposto, segnano l’irrompere imprevedibile dell’Eterno sul piano della distensio temporis – Eterno che sempre su di esso si rappresenta, ma sempre anche, insieme, si ri-vela.

(da Cacciari, M., Il potere che frena, Adelphi)