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domenica 13 febbraio 2011

Crepuscolo della politica e lavoro - la brutalità del dato oggettivo

Prestando attenzione alla storia, si sarebbe tentati di proporre la seguente equazione: politica moderna = classe + teoria + prassi + progetto di trasformazione dell’uomo + conflitto. Teniamola provvisoriamente per buona – pur nella consapevolezza che si tratta di un’evidente semplificazione –, e tentiamo di analizzare lo stato congiunturale presente, ben sapendo che la congiuntura stessa, nella sua singolare aleatorietà, costituisce le coordinate materiali entro cui il problema va continuamente dimensionato.
La questione è chiedersi se sia ancora possibile un agire politico effettuale in questa fase di autodittatura medioborghese.
Se la politica è lotta, oggi (così si esprimeva Vegetti alla presentazione di una nuova edizione critica della Repubblica di Platone) il conflitto si è risolto piuttosto in competizione tra operatori specializzati che si contendono la quota maggiore del mercato elettorale. Sintomo di un completo appiattimento della politica sulla società civile, al punto tale che queste due realtà, così diverse, si integrano in un'unità totalizzante. Non è affatto vero che la politica non rappresenti più la società, al contrario, la rappresenta talmente bene da aderire completamente a essa, fino alla degradazione della classe dirigente a mero ceto coinvolto nel perseguimento del proprio interesse privato e corporativo.
L'urgenza consiste dunque nello sviluppare un rinnovato e consapevole spirito di scissione. Come forse direbbe Tronti, questa è l'eredità del Novecento da non disperdere. Ristabilire l’autonomia della politica (o, più significativamente, del “politico”) significa scindere quella demagogica unanimità nella quale sono precipitate le attuali liberaldemocrazie, per certi versi ancora più plebiscitarie dei vecchi totalitarismi; ogni schieramento, infatti, pretende di essere rappresentativo di tutto il paese, come una parte che esiga di coincidere con l’intero. Di qui, l’addio al vecchio binomio sinistra-destra, ma anche l’addio allo scontro sociale e di idee. Incontrastata, prevale una logica sistemica e reazionaria, unicamente tesa al mantenimento di equilibri e gestita attraverso la cinica amministrazione del consenso. Della serie: “calcoliamo, non disputiamo”. Una situazione, tra le altre cose, che lascia campo libero alle peggiori pulsioni, e dunque al populismo leghista e all’integralismo (laico e religioso) che cercano di rappresentarle. E così, dalla nostra equazione, possiamo espungere anche il termine “progetto”.
Si avverte l’esigenza di spezzare nuovamente ciò che è diventato uno, tornare a effettuare una politica realmente di parte nella prospettiva di un rinnovato programma di trasformazione della società. Nel XIX-XX secolo, la scissione era dovuta allo scontro di due soggetti in lotta, borghesia e proletariato, e la politica di parte trovava espressione in opposti "partiti", appunto. Se – come pare – non è più possibile pensare e operare in questo modo, allora si tratta di rifondare la lotta su altre basi. Per concretizzarla servono nuovi strumenti (da elaborare), occasioni (da propiziare) e soggetti (da costruire).
Se la contraddizione è sempre quella tra capitale e forze produttive, si tratta però di comprendere che il capitalismo attuale non esiste più nelle forme in cui si era sviluppato fino a cinquanta-sessanta anni fa, e che oggi l’organizzazione del lavoro sembra implicare il precariato come fenomeno strutturale e non più contingente. Perché si assiste a un vuoto di partecipazione politica attiva? Perché non esiste sindacato o partito che abbia saputo pensare adeguatamente il passaggio epocale dal fordismo al postfordismo, per esempio. Vuoto di teoria, dunque. E che cosa ne è della classe in quel pluriverso parcellizzato che è il lavoro oggi? Essa resta disintegrata nel pulviscolo delle singole istanze individuali, dei minimi interessi particolari che proliferano incontrollati. La politica dovrebbe fare qualcosa che sembra non riuscirle più, correggere e rettificare il piccolo interesse nell’ottica della risoluzione del grande interesse del lavoro (Tronti). Condizione necessaria è la presa di coscienza da parte del lavoro precario dei propri obiettivi, la determinazione della forma politica della loro realizzazione, gli strumenti del procedere pratico. Ne siamo in grado?

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