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martedì 5 settembre 2017

Osemdeseta – I lunghi anni ’80 e l’eredità del 1989 [I parte]

Nel corso del 2017, la Moderna galerija di Ljubljana ha organizzato un ciclo di importanti mostre che illustrano la peculiarità degli anni ’80 in Slovenia e in Jugoslavia. Tra la morte di Josip Broz e la caduta del muro di Berlino intercorre una fase carica di premonizioni in cui è possibile cogliere in filigrana i profondi cambiamenti politico-sociali che hanno plasmato il presente. Elementi fondamentali per la comprensione del nostro tempo giacciono appunto in quegli anni, e la Jugoslavia del dopo-Tito – in particolare – costituisce un ambito di studio formidabile per capire gli sviluppi che avrebbero successivamente investito l’Europa e l’Occidente. Le questioni drammatiche che sono andate a specificarsi allora sono infatti le stesse che attualmente dominano la contemporaneità: il complesso  rapporto tra Stato e sovranità, i conflitti tra lavoro e capitale globale, le relazioni tra democrazia ed economia, i contatti tra politica e arte.

Dal 1980, diversi movimenti artistici tentarono energicamente in Jugoslavia di trascendere la parabola del socialismo al crepuscolo e le circostanze sociali in cui l’arte risultava ancora implicata, tanto criticando direttamente la situazione politica di allora, quanto cercando di sviluppare un mercato dell’arte. Artisti e lavoratori impiegati nei settori culturali divennero catalizzatori per nuovi fenomeni artistici e sociali. Si aprirono nuovi spazi urbani che divennero presto luoghi d’incontro per l’elaborazione di azioni politiche e culturali in grado di investire la società a tutti i livelli e trasversalmente. Uno di questi centri, luogo di attrazione per molti giovani artisti e teorici, fu certamente la Galerija ŠKUC di Ljubljana. Tale spazio divenne un laboratorio per mettere alla prova nuove prospettive attraverso la manipolazione di media differenti, dirigendo nel contempo il tiro della critica sulla sclerotizzata cultura istituzionale e sulle teorie impolitiche del modernismo. 


A Maribor, a Koper e in altre città, la cosiddetta “alternative scene” andava rafforzandosi anche grazie all’apporto di giornali come Tribuna e di riviste come Mladina e Problemi. Le persone coinvolte vedevano le proprie attività strettamente connesse a una pratica intrinsecamente socializzante e collettiva. Lo scopo era quello di stabilire una differenza tra sé e le politiche culturali mainstream, espressioni dell’ideologia dominante, evitando nello stesso tempo l’emarginazione, e anzi cercando di ottenere un riconoscimento sociale e politico. Particolarmente illustrativo di tale volontà fu l’evento-festival Homoseksualnost in kultura (1984).

Furono dunque anni febbrili quelli che scandirono il decennio della lenta disintegrazione della federazione jugoslava: un arco temporale costellato da paradossi, eclettismi, trasformazioni, confronti duri con le vecchie strutture di potere; anni di crisi economica e politica, anni di entusiasmante creazione di nuovi paradigmi, di costruzione di ponti tra l’arte istituzionale e gli spazi dell’insorgente (sub) cultura alternativa, nella consapevolezza anti-dogmatica del profondo nesso che sempre lega la dimensione estetica alla prassi politica. Moltissimi furono i contributi dati allo sviluppo di questo passaggio culturale, dagli scritti teorici della “nuova sinistra” ai gruppi post-strutturalisti; dai circoli lacaniani ai movimenti femministi. Un elemento che teneva insieme una tale congerie di produzioni eterogenee era il comune spirito di rivolta aizzato contro l’egemonia culturale del tempo. D’altro canto, il sistema politico ammetteva una certa critica, al fine di proiettare pubblicamente un’immagine di sé positiva e tollerante.

(Fine prima parte) 
                                                                                                                    

Fonti: Osemdeseta/ the Eighties – Petek, 21. Aprila 2017. Izdala Moderna galerija, Ljubljana.

Qui la seconda parte