IL BLOG


IL MOVIMENTO REALE AL FOTOFINISH CON LO STATO DI COSE LATENTE.


venerdì 20 luglio 2012

Appendice a Quattro giorni

Qual è il genere letterario maggiormente esposto all’oltraggio di un’infestante nevrosi da chiarezza documentaria? Mi sono risposto che dovesse trattarsi della biografia. Che cosa più del testo biografico risulta infatti espressione di una tautologica volontà di glorificazione del reale? Il peso dell’esigenza di verità come adeguazione e completezza conduce a riferire le cose esattamente come stanno, nei termini in cui il pensiero – pregiudizialmente concepito come somigliante all’essere formalmente inteso – se le rappresenta, fino all’esaltazione del mero e banale dato oggettivo.
Quattro giorni è invece prodotto, disegnato e scritto laconicamente: Si conosceranno le cicatrici da ogni buon giudizio. Trattasi di una biografia esangue ed ellittica, che si attualizza (dis)integra solo leggendola partendo dalle amputazioni – per cicatricem, appunto –, essendo essa menomata addirittura del nome del soggetto ritratto (peraltro storicamente esistito). Multa paucis dicere sed cum sale et venustate laconicum est. Di X, fisionomia senza storia, percorsa e attraversata da intensità irrappresentabili, può darsi solo un profilo indiziario, disperso e aionico. Un compendio di assenze, echi, allusioni, scorci, lontananze in cui mi piacerebbe che risuonasse un po’ di Barocco. Questo non-racconto è un ambiente chiuso, un dispositivo ermetico che gira su se stesso. Il suo completamento si deve – più che a emendazioni progressive – a una serie di mutilazioni puntuali. I tagli sono i caratteri realmente parlanti di una scrittura dissimulatrice e di un disegno in cifra. Di più non si può dire, perché tutto è lasciato alla perspicace agnizione del lettore.

(Ma potrebbe anche essere tutta una cazzata)

giovedì 19 luglio 2012

Quattro giorni, o delle immemorie del fisiologo

Si conosceranno le cicatrici da ogni buon giudizio.
(Torquato Accetto)

Dieu veut être ce qu’il est [...]
(N. Malebranche)



1-Lei – Eίδος – non guarda, ma guardano degli sterniti addominali, delle cartilagini, un epistoma, un edeago, propaggini senza inerenza irriflesse nel liquor. Non conoscendo padrone non possono che mirare attraverso una lente convessa mai intagliata per escluder... lo. Così è successo che l’hanno sfinito parcellizzato spezzato liberato. 

2-“Vi vedo metamorfosati, figlio”, egli dicono ai cocci. Uno, l’eone successivo. Lo dice, si sente. Regala a chi possibilità per una sintesi, elargisce margini. Identità a chi. Quella del “figlio”. Sostanza che delude ma pur sempre una. Ens et unum convertuntur. Chi svaga stravolto precipitato in un altro che resta se stesso. La nave di Teseo, l’io non generantesi svolgentesi. D’altra parte chi è, indubbiamente. Quando l’alba non è all’alba io sono noi non io legione. Chi è ogni nome dei quali frammenti colà insubordinati accidenti molteplici in frenetica panspermia rimbalzano al ritmo della febbre quartana.



3-Sarà la malaria il dono, e si direbbe, per propiziare incontri. A caso frequentare il caos, testimoniare al sifone come a un amante pigro. Si appetisce la rovina, poiché la coscienza annientata nella disposizione deposta alle parti è il sapore del principio di ragione insufficiente e dello schematismo latitante al banchetto di un monarca acefalo.


4-Una lente un neo un molare una parola un muscolo un ginocchio un odore un’ora del pomeriggio un naso una musica un alluce un cuore usurpato a una rana un anofele. In frantumi migrano slacciati nel vuoto ad affastellata insolente meticcia epigenesi gli ineffabili progetti di un Dio in esilio, tant’è che dall’orbicolo di una macina protrude l’Anticristo.



5-Fine primo secondo tempo. Invocato l’Ordine immutabile sterniti addominali cartilagini epistoma edeago lente rinunciano per immeatio a irreciproca solitudine loro indeterminata dagli articoli. Convenuta cospirante, l’Unità recuperata colpevole è restituita alla sua bella e dosata integrità. La realtà, o passa attraverso il dominio della legge oppure non è.

6-Tornare congrui, simmetrici, equilibrati. Rei. Intollerabile il vagabondaggio sovversivo di parti fuori misura. Alla trasgressione risponde intransigente severità sovrana, orangista, calvinista.

7-Al primordium, alla forma, all’uovo che amministra reclude sanziona ragiona commuta distribuisce giustizia a sopraccigli-rughe-narici. L’uovo è una grande coalizione. Di centro. Volto. Il ricordo del volto è ancora più centripeto precipitato grumo di riconoscibile icona. Contemplativo focolare domestico del desiderio addomesticato. Documentato si dichiara alla dogana da compunto bravo civis che farà carriera.

8-Dieu aime sa substance invinciblement, parce qu’il se complaît en lui-même. I suoi primi successi: il molare dissidente irreggimentato dal sorriso – neutralizzato. Il ginocchio ribelle domiciliato accanto all’altro suo equivalente – sposato. Il naso riottoso con narici legalmente sedentarie – pensionato. L’alluce eversivo catturato dallo specchio offertogli dal suo doppio – arrestato. Ufficialmente il lieto fine si adorna di vestigia bilaterale.

9-Inchiodato all’epicentro, ai significati, le sue pesanti armature immateriali, panoplie operative. Coartata avara di sé immota crisalide. È stupefacente vedere la tesi oggettivarsi sotto gli occhi propri. L’essere è carne sul punto di arrendersi. Materia peccans. Ancora quattro giorni.


Et la réciproque est vraie ! 

domenica 15 luglio 2012

IDOLA, FuORI! 22 - Futilità dell'autobiografia

L'unica cosa che mi viene in mente a proposito del "parlare di sé" è che se ne può parlare fondamentalmente in due modi, secondo quanto sostiene Céline. O bene o male. Ora, parlare bene di se stessi è un'operazione grottesca. Parlarne male è invece inutile, perché a riguardo si può fare benissimo affidamento sugli altri.

sabato 7 luglio 2012

Di Spinoza, di satira e di altri umori

Che a Spinoza piacesse ridere di gusto è risaputo e debitamente documentato. Colerus – biografo comunque a lui ostile –, racconta a riguardo alcuni aneddoti.

Lo stesso Spinoza d’altra parte scrive:
1-L’Irrisione è Gioia nata dal fatto che immaginiamo che qualcosa che disprezziamo è presente nella cosa che odiamo.
SPIEGAZIONE
In quanto disprezziamo una cosa che odiamo, in tanto ne neghiamo l’esistenza […] e in tanto ci rallegriamo. Ma, poiché supponiamo che l’uomo abbia in odio ciò che è oggetto della sua irrisione, segue che questa Gioia non è solida. (Eth. III, prop. XI e spiegazione)

2-L’Odio non può mai essere buono.
L’Invidia, l’Irrisione, il Disprezzo, l’Ira, la Vendetta e gli altri affetti che si riferiscono all’Odio o nascono da esso sono cattivi […]. (Eth. IV, prop. XLV e corollario I)

3-Tra l’Irrisione (che nel primo Corollario ho detto cattiva) e il riso riconosco una grande differenza. Infatti, il riso – come anche il gioco –  è pura Gioia, e perciò […] è di per sé buono. (Eth. IV, prop. XLV, scolio)

Oltre al riso e alle pure gioie esistono dunque anche delle gioie tristi, cioè gioie che si danno a seguito della denuncia delle tristezze altrui, passioni di cui non siamo causa adeguata. Gioie reattive, direbbe Nietzsche.

La satira, a parte i suoi momenti migliori, difficilmente mostra di essere qualcosa di più che una re-azione, un contro-mood derisorio, una denuncia, o una sottrazione di quanto è comunemente acquisito al senso comune.

Nei suoi esempi peggiori è invece l’apoteosi rovesciata di ciò che esiste, un’implicita glorificazione “al negativo” dello stato di cose presente.

Di qui la diversità rispetto al grottesco materiale, al carnevalesco (Rabelais non è un autore satirico, infatti), oppure a un umorismo nero – da Kubin a Kafka, da Lautréamont a Max Ernst – che è soprattutto sovvertimento per una produzione ontologica del nuovo e non replica invertita dell’esistente.