IL BLOG


IL MOVIMENTO REALE AL FOTOFINISH CON LO STATO DI COSE LATENTE.


venerdì 30 settembre 2011

IDOLA, FuORI! 12 - Insufficienza dell'ateismo

Non a-teo, perché non mi sento privato di nulla. Non ateo, perché ateismo implica sempre un riferimento al trascendente, anche se al negativo. Non ateo, perché si tratta di uscire dalla logica binaria soggiacente alla domanda “credi?” (o sì o no). L’unico atto decisivo, per usare le parole di Artaud, consiste nel farla finita una volta per tutte con la questione di Dio.

domenica 25 settembre 2011

IDOLA, FuORI! 11 - Apologia della crisi

La crisi – non quella triste, finanziaria o di governo – è fisiologia, occasione per produzione di essere. Kairós. Non malattia dalla quale riprendersi o fuggire in cerca di conforto, ché anche se lo fosse non sarebbe tanto qualcosa da cui guarire, quanto qualcosa su cui investire.
Nietzsche, Rabelais, Cervantes, Gombrowicz sono più saggi di Freud. Abbiamo bisogno di un esordio, non di un’eziologia, men che meno di una causa prima. Cerchiamo una techne, non una morale, non una giustificazione. Ci deve bastare come punto di partenza. Qui s’inaugura il processo di costruzione di un piano politico e di vita: Il grande evento comincia al di là di tutto ciò che esiste, dunque in un luogo sconosciuto e con un uomo sconosciuto (Althusser, Machiavelli e noi). È come Don Chisciotte; a Cervantes non interessa la genealogia della sua pazzia, l’esordio è l’hidalgo cui si è seccato il cervello per via del gran leggere.

Sì, un punto di partenza. Invano lo si cercherebbe all’inizio. Non cominciamo da una ragione cartesiana che sia prima e assoluta, perché si parte sempre nel bel mezzo di una pratica. Lo sa bene Spinoza (il più saggio di tutti): In verità il problema si pone qui negli stessi termini che per gli strumenti materiali, a proposito dei quali si potrebbe argomentare allo stesso modo. Infatti per forgiare il ferro occorre un martello, e per avere un martello è necessario farlo; e per farlo occorre un altro martello ed altri strumenti, per avere questi occorreranno altri strumenti e così all’infinito; in questo modo invano si cercherebbe di provare che gli uomini non hanno alcuna possibilità di forgiare il ferro. Ma come gli uomini all’inizio potevano fare con gli strumenti naturali cose facilissime, sebbene faticosamente e imperfettamente, e fatte queste ne eseguirono altre più difficili con minore fatica e maggiore perfezione, e così gradatamente procedendo dai lavori più semplici agli strumenti e dagli strumenti ad altri lavori e ad altri strumenti, arrivarono al punto da eseguire tanti e tanto difficili lavori con poca fatica – così anche l’intelletto con la sua forza innata si fa degli strumenti intellettuali con i quali si acquista altre forze per altre opere intellettuali e da queste opere si forma altri strumenti, ossia il potere d’indagare ulteriormente; e così avanza gradatamente fino ad attingere il culmine della sapienza (TEI § 30-31).

Essere attivi senza vita interiore, senza identità, senza sapere bene che cosa si vuole ottenere, ma con il presentimento che inaugurando una prassi si riuscirà prima o poi a trovare qualcosa che faccia al caso nostro. Un errare produttivo in cerca di occasioni, di avventure durante le quali ci costruiremo un’arma.

venerdì 23 settembre 2011

IDOLA, FuORI! 10 - Considerazioni impopolari

Venire al mondo, o nascere, o vivere, significa non aver avuto la fortuna di essere stati abortiti in tempo. Dopodiché, l’unica cosa che ci resta da fare è abortire a nostra volta di tutto: famiglia, scuola, Stato, salario, religione, paura, speranza etc. Un faticoso, ma entusiasmante disapprendistato.

lunedì 5 settembre 2011

Col megafono rosso amplifichi i porci


Humachina feat. El Lissitzky

Il tentativo del PD di sfruttare la crisi finanziaria per far leva sui rapporti di forza interni al Paese e rovesciare l’esecutivo è da bignami della politica, e lo sforzo ha partorito il solito nulla. Non si può pretendere di cavar peti da un asino morto, scriveva Rabelais. Certe manovre funzionano solo quando, all’interno di una lotta per l’egemonia culturale, i tempi diventano maturi per un cambio di paradigma, ma se esiste una costante storica nell’agire politico della sinistra italiana, questa è proprio l’intempestività, l’insensibilità al kairós, l’incultura, il cinismo miope, il dogmatismo, l’attardarsi su questioni secondarie, la pusillanimità imbelle etc. Da Turati (almeno) in poi. E hanno pure il coraggio di definirsi “riformisti”. Culturalmente egemone – in Italia, in Europa e altrove – è la destra, non ci sono storie. Se non si parte da qui, e se non si edifica nel cuore del lavoro il campo base – invece che sulla “questione morale”, peraltro volgarmente intesa come “questione moralistica” –, allora è finita. È finita non solo per la sinistra, ma per la politica stessa, almeno per com’è stata intesa finora. Nel caso del PD – che sinistra non è –, gli scopi sono ben poco politici e molto opportunistici. Basta guardare (se ci riuscite senza conati) quel bagaglio di Fassino, amico intimo dei nemici dei lavoratori, ai quali porgerebbe volentieri terzi orifizi – se soltanto ne avesse –. Ora vomito. Rigurgito di antipolitica dal quale spero di riprendermi.

Se usciamo per un attimo da questo paesello provinciale, la res dura da mandare giù è che la politica internazionale funziona ormai solo come guerra permanente, come State-building utile per la cosiddetta business community, le nuove élite capitalistiche mondiali (che proprio per questo andrebbero profondamente studiate). Il potere si è soggettivato in forme inedite – in un quadro geopoliticamente mutato nel corso degli ultimi vent’anni –, contro il quale devono essere mobilitate forze all’altezza che ancora devono svilupparsi. Il fallimento di Obama è indicativo dell’ingovernabilità politica dei mercati con mezzi tradizionali. Un tempo si parlava di utopia liberale del “libero mercato autoregolato”; ora l’ideale utopico si presenta come incubo refrattario all’assunzione di una qualsiasi regolamentazione. Sullo sfondo, le allucinazioni preagoniche di chi crede ancora al vigore della sovranità nazionale si alternano ai pericolosi deliri populistici di mentecatti sostenitori di un’inesistente e medievale Respublica christiana, mentre il lavoro (che solo può valorizzare il capitale), marginalizzato rispetto alla centralità dei consumi, si dissolve in forme sempre più parcellizzate e politicamente irrilevanti.

Mario Tronti qualche tempo fa ricordava un detto mitteleuropeo: Là dove c’è il massimo pericolo, lì c’è ciò che salva.
Non su posizioni di retroguardia, ma nel luogo dell’annullamento, nella fase della sussunzione completa al capitale, la politica può giocare intelligentemente la sfida per tornare a essere attività in grado di orientare e di dirigere i processi.

Come cominciare? La mia risposta, a uso strettamente personale, è studiare ciò che finora è stato.
Ritornare alla politica non significa indulgere alle nostalgie, bensì riallacciare il passato al presente, alla congiuntura effettuale, tornare ai principi per poterli impiantare rinnovati nella verità odierna.