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martedì 8 novembre 2011

IDOLA, FuORI! 16 - Spirito d'elite

La vita è breve. Imparare a leggere in filigrana il reale – senza farsi distrarre dalla spettacolarità dei ritmi evenemenziali e dall’obsolescenza dell’attualità (si dimette/non si dimette; il male minore/il peggio etc.) – è fatica dura. Vale la pena non perdere tempo, il che significa bruciare le edicole, annientare la RAI, chiudere account facebook e assumere la postura dell’Angelus novus: unico estremismo valido in questa fase, e per di più corredato di piacevolissimi effetti collaterali, esclusivamente fruibili da chi sa godere sul serio: quella che io chiamo l’elite – milioni di anni luce distante dalla “casta” e dalle miserie olgettine –.

La storia della politica è storia delle avventure della mediazione, del rapporto tra istituzione e società che consente – non senza opacità residuali – il trascorrere del particolare nell’universale. Ci passa attraverso tutto l’Occidente, dall’idealismo platonico, passando per le gerarchie ontologiche medievali fondate sulla sostanzialità degli universali (l’ordine già dato e solido dell’essere), fino al nominalismo di Hobbes – la cui apertura al trascendente si esprime in termini di mera esigenza di forma e di ordine –, alla costruzione del soggetto moderno, alla Aufhebung hegeliana, alla critica marxista nelle sue diverse sfaccettature etc.

Ecco, l’antipolitica indica il comodo rifiuto infantiloide di confrontarsi con tutto questo. Ovviamente, antipolitica significa tecnicismo, volgare prassi amministrativa di Palazzo, banditi al governo. Ma antipolitica è anche la cattiva immediatezza della poltiglia del cuore che percorre certa indignazione dal basso, cioè quella dell’opinione pubblica cianciante ovunque, sollecitata a parlare bene/male del potere su mandato dissimulato del potere stesso.

Grillini, dipietrini, santorini, comencinini, i crassi catalizzatori dei malumori di massa, gli apprendisti stregoni dell’illusionismo tecnocratico, delle reattività gastriche e delle coazioni prostatico-ovarico-uterine. In una parola, il vulgus tanto temuto dall’autore del Trattato Teologico-Politico.

Spinoza dunque, ma anche Hegel. Antipolitica è la pretesa di auto-rappresentazione senza idee, senza partito, senza organizzazione, senza progetto costituente, senza metodo, ma con presente davanti alle cataratte l’immagine confusa dell’idolo di turno da maledire. Presente il toro nell’arena? Antipolitica è il formalismo implicito alla credenza nella placida modulazione progressiva individuo privato-istituzione-universalismo. In fondo, nient’altro che la solita grande astrazione liberale, secondo cui la somma dei privati costituirebbe immediatamente la dimensione pubblica dello Stato.

La buona immediatezza concreta, interna alla mediazione, ma in grado di eccederla per iperpoliticità, quella che Marx vedeva nel proletariato, dov’è oggi? Forse in quel formidabile laboratorio politico che è la Val di Susa, e ovunque si sviluppi consapevolezza e strategia, nella rabbia, ma anche nella gioia (passione spinoziana) di resistere, ovvero di creare collettivamente pratiche e concetti, forti della propria preparazione. La buona elite.

8 commenti:

  1. Provo un sentimento d'amore per quello che hai scritto. E di speranza, perché ragionare di questo significa star considerando finalmente che la fase di regressione civile che abbiamo attraversato nell'ultimo ventennio si sta concludendo davvero.

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  2. Accidenti, dovrei mettermi a scrivere anche io, ma sono frastornata da ciò che sto leggendo da tutti i miei contatti bloggers, che negli ultimi giorni stanno cantando in un unico coro, con voci limpide, parole ben chiare e così sane e positive! Accidenti - devo trovare il tempo!
    E grazie, davvero, di cuore, per questo tuo post - un'altra nota perfetta nella partitura di una musica meravigliosa, intensa e appassionante.

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  3. Amiche care, sono io che devo ringraziarvi per i vostri post, commenti, incentivi e massaggi cardiaci, ché da solo -a volte- ho l'impressione che il mio sangue ristagni. Un abbraccio :-)

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  4. I laboratori politici si sono moltiplicati, vedi OccupyWallStreet e soprattutto OccupyOakland che ha un'impronta ancora più radicale e che andrebbe analizzata più attentamente anche da qui. Quello NOTAV è il nostro attuale tesoro ma sta iniziando a muoversi qualcosa anche nell'ottica "occupy" anche qui. L'11 noi saremo in Piazza del Municipio e speriamo che sia un altro inizio rispetto a quello del 15 ottobre, obiettivamente un fallimento. Sarà lunga.

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  5. @Sassicaia
    Non conosco bene la specificità di OccupyOakland rispetto agli altri gruppi Occupy, ora vado a studiarmeli un po'. Anche per venire in chiaro sui miei stessi attuali convincimenti. Ciao!

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  6. è vero, le questioni d'elite possono e devono essere vissute in modo positivo, costruire i nostri piccoli "happy few" e da lì costruire.

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  7. @Cawarfidae
    Qualcuno negli anni '70 parlava di costruzione di "macchine desideranti", di desiderio come potenza costituente. Sono passati quaranta anni terribili, ma ripartire a costruire da una gioia localizzata (se intendo bene "happy few") resta ancora un'indicazione valida, a condizione che sia accompagnata da una forte consapevolezza politica. Consapevolezza che a noi, nati sul finire del XX secolo, manca. Ci manca l'esperienza della politica come "corpo a corpo con la storia" (come dice Tronti). Per me è importante colmare queste lacune. Lo faccio guardandomi indietro, non conoscendo altri mezzi. Ciao :-)

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  8. (Ho incollato un link su "La buona elite", che rimanda a un contributo estremamente interessante).

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