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lunedì 5 settembre 2011

Col megafono rosso amplifichi i porci


Humachina feat. El Lissitzky

Il tentativo del PD di sfruttare la crisi finanziaria per far leva sui rapporti di forza interni al Paese e rovesciare l’esecutivo è da bignami della politica, e lo sforzo ha partorito il solito nulla. Non si può pretendere di cavar peti da un asino morto, scriveva Rabelais. Certe manovre funzionano solo quando, all’interno di una lotta per l’egemonia culturale, i tempi diventano maturi per un cambio di paradigma, ma se esiste una costante storica nell’agire politico della sinistra italiana, questa è proprio l’intempestività, l’insensibilità al kairós, l’incultura, il cinismo miope, il dogmatismo, l’attardarsi su questioni secondarie, la pusillanimità imbelle etc. Da Turati (almeno) in poi. E hanno pure il coraggio di definirsi “riformisti”. Culturalmente egemone – in Italia, in Europa e altrove – è la destra, non ci sono storie. Se non si parte da qui, e se non si edifica nel cuore del lavoro il campo base – invece che sulla “questione morale”, peraltro volgarmente intesa come “questione moralistica” –, allora è finita. È finita non solo per la sinistra, ma per la politica stessa, almeno per com’è stata intesa finora. Nel caso del PD – che sinistra non è –, gli scopi sono ben poco politici e molto opportunistici. Basta guardare (se ci riuscite senza conati) quel bagaglio di Fassino, amico intimo dei nemici dei lavoratori, ai quali porgerebbe volentieri terzi orifizi – se soltanto ne avesse –. Ora vomito. Rigurgito di antipolitica dal quale spero di riprendermi.

Se usciamo per un attimo da questo paesello provinciale, la res dura da mandare giù è che la politica internazionale funziona ormai solo come guerra permanente, come State-building utile per la cosiddetta business community, le nuove élite capitalistiche mondiali (che proprio per questo andrebbero profondamente studiate). Il potere si è soggettivato in forme inedite – in un quadro geopoliticamente mutato nel corso degli ultimi vent’anni –, contro il quale devono essere mobilitate forze all’altezza che ancora devono svilupparsi. Il fallimento di Obama è indicativo dell’ingovernabilità politica dei mercati con mezzi tradizionali. Un tempo si parlava di utopia liberale del “libero mercato autoregolato”; ora l’ideale utopico si presenta come incubo refrattario all’assunzione di una qualsiasi regolamentazione. Sullo sfondo, le allucinazioni preagoniche di chi crede ancora al vigore della sovranità nazionale si alternano ai pericolosi deliri populistici di mentecatti sostenitori di un’inesistente e medievale Respublica christiana, mentre il lavoro (che solo può valorizzare il capitale), marginalizzato rispetto alla centralità dei consumi, si dissolve in forme sempre più parcellizzate e politicamente irrilevanti.

Mario Tronti qualche tempo fa ricordava un detto mitteleuropeo: Là dove c’è il massimo pericolo, lì c’è ciò che salva.
Non su posizioni di retroguardia, ma nel luogo dell’annullamento, nella fase della sussunzione completa al capitale, la politica può giocare intelligentemente la sfida per tornare a essere attività in grado di orientare e di dirigere i processi.

Come cominciare? La mia risposta, a uso strettamente personale, è studiare ciò che finora è stato.
Ritornare alla politica non significa indulgere alle nostalgie, bensì riallacciare il passato al presente, alla congiuntura effettuale, tornare ai principi per poterli impiantare rinnovati nella verità odierna.




6 commenti:

  1. Difatti dovrebbe essere il cittadino a riappropriarsi della politica intesa come insieme di leggi che regolano la convivenza, visto che gli attuali partiti sono comitati d'affari in un mercato tutt'altro che libero.

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  2. Infatti. D'altra parte, in questi anni anche il cittadino è stato investito da una mutazione antropologica, che - sempre secondo Tronti - ha causato un collasso categoriale tale da rendere indistinguibili l'Homo oeconomicus e l'Homo democraticus. Insomma, ho idea che ci troviamo al grado zero della politica.

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  3. Gran pezzo, che dipinge e condensa con estrema efficacia il grumo putrescente della malattia che sta devastando il vivere mondiale.
    E che suggerisce come unica via di uscita da questa cieca e devastante morsa di ferro delle élite capitalistiche mondiali, constatato il fallimento della tradizionale politica di rappresentanza, il ripensamento, se non il rovesciamento, dell'intera costellazione di apparati di governo e dei rapporti di forza tra essi ed il leviatano economico. Dobbiamo proprio fare la rivoluzione, insomma.

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  4. Ciao Cri! Benvenuta!:-)
    sì, in questo momento non abbiamo strumenti adeguati per sovvertire il rapporto di dominio (o forse ci sono gli strumenti, ma manca il soggetto politico che possa usarli consapevolmente. Non si tratta più di andare allo scontro con la forma Stato, ma con qualcosa d'altro, molto più informe e difficilmente riconoscibile); siamo in fuga, ma durante questa fuga "ci costruiremo un'arma".

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  5. @HIV: e anche al grado zero della cittadinanza. Se devono essere queste condizioni a farci recuperare una dimensione umana ben vengano, ma purtroppo credo che le analisi che seguiranno a questo momento saranno quanto di più lontano dall'utile si possa chiedere. Ciononostante continuo ad avere fiducia. Non sia mai.

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  6. @sassicaia
    Avere fiducia, soprattutto ora! Il mio problema al momento è legare questa fiducia a una pratica di desiderio. Al momento la mia gittata sistolica è al minimo...

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