IL BLOG


IL MOVIMENTO REALE AL FOTOFINISH CON LO STATO DI COSE LATENTE.


martedì 14 aprile 2020

Carlo Galli – Il Principe di Niccolò Machiavelli [Festival della filosofia, 17/09/2010, Sassuolo] 4/5

[...] "Torniamo a Machiavelli. Alessandro VI voleva fare grande il duca, suo figliolo. In Italia c’erano forze amiche e nemiche del papa. Cesare Borgia cercò di rafforzare le amicizie (anche con la Francia) e di spegnere le inimicizie (le famiglie rivali, gli Orsini e i Colonna). Egli sterminò gli Orsini, che si lasciarono imbrogliare. 

Cesare Borgia cercò di mantenere l’ordine e il consenso (non quel genere di consenso che cerca invece il principe civile) in Romagna dando in appalto il controllo a un uomo crudele ed espedito, Remirro de Orco, ferocissimo e sbrigativo. Costui produsse ordine pubblico, ma in modo feroce, repressivo, attirandosi l’odio di tutta la Romagna. Poi Cesare Borgia a Cesena lo prese e lo fece mettere “in dua pezzi su la piazza”. La ferocia dello spettacolo lasciò soddisfatti, atterriti e stupefatti i romagnoli. Ciò piace a Machiavelli, ma non è il tipo di consenso cercato dal principe civile, che si muove in altro modo.


Il Borgia dunque prima prende potere, poi cerca di stabilizzarlo. È il suo meccanismo, grazie anche alla fortuna iniziale che ha avuto, essendo figlio del papa. Però la sua logica è sempre e solo una logica di emergenza. È sempre senza tempo, è sempre in rincorsa affannosa. Egli prova a mettere le fondamenta per il futuro, ma il caso arriverà sempre a rendere critico il suo potere, poiché non ha fondamenta stabili che resistano ai rovesci del caso. 

Poi gli muore improvvisamente il padre, il papa Borgia. Cesare aveva pensato all’eventualità. Provò così a trovare sicurezza in quattro modi: 1- uccidendo tutti i nobili ai quali aveva portato via potere e beni (per evitare che qualcuno di loro divenisse papa e gliela facesse pagare); 2- guadagnarsi il favore di tutti i nobili di Roma con regali; 3-corrompere quanto più possibile il collegio dei cardinali; 4- divenire tanto potente da resistere anche nel caso peggiore, cioè che un nemico divenisse papa.

Di queste quattro cose, alla morte di Alessandro VI, tre gli riescono. La quarta non gli riesce, gli riesce cioè solo a metà.  Ed ecco la maligna fortuna. Mentre il padre muore, si ammala terribilmente pure lui, Cesare Borgia (e a questa coincidenza non aveva pensato), tra l’altro proprio quando in Italia ci sono due eserciti potentissimi e stranieri. I francesi (che vogliono forzare la mano al collegio cardinalizio e fare eleggere un papa francese) e gli spagnoli (nel regno di Napoli, costoro assediano Gaeta per buttare fuori gli angioini). 

Ecco l’errore. Cerca l’accordo con il cardinale Giulio della Rovere, titolare della chiesa di San Pietro in Vincoli. Il Valentino gli promette il voto dei cardinali da lui controllati e necessari per farlo diventare papa (come Giulio II), e in cambio il Della Rovere si impegna ad appoggiare il Borgia. Il della Rovere però apparteneva a una delle famiglie nemiche dei Borgia, ed era indisponibile a dimenticare le ingiurie subite in passato. Ciò sarà cagione della ruina del duca Valentino. A quel punto, infatti, il divenuto papa Giulio II attacca il Valentino, questi è fatto prigioniero, poi fugge in Spagna e laggiù muore.

Valentino s’ingannò, poiché ritenne che un regalo fatto a Giulio II avrebbe fatto passare un colpo di spugna su tutte le precedenti ingiurie inflitte dai Borgia ai della Rovere. Questo mezzo funziona però solo con i poveretti e gli indegni, che puoi travagliare tutta la vita, meritandoti il loro odio, ma di cui puoi ottenere facilmente la sottomissione con un beneficio. Ma quando hai di fronte un grande, un potente che hai danneggiato in passato a più riprese, questo metodo non funziona.

Il Valentino s’è sbagliato, ha commesso un errore perché ha dovuto agire in situazione di necessità, e lui sempre agiva in situazione di necessità. Era uno spericolato, e alla fine prima o poi così si inciampa.
Non è così che si fa politica, secondo Machiavelli, nonostante le doti politiche eccezionali del Borgia.

Machiavelli afferma – alla fine del capitolo – che il Valentino, avendo errato, va ripreso e biasimato.

“E chi crede che ne’ personaggi grandi beneficii nuovi faccino dimenticare l’ingiurie vecchie, s’inganna. Errò adunque il Duca in questa elezione, e fu cagione dell’ultima rovina sua”.

Ma solo poche righe prima egli scrive che non saprebbe come riprenderlo. In un certo senso sarebbe anzi un modello da imitare per la sua anima grande (soprattutto dovrebbero imitarlo coloro che hanno preso il potere con la fortuna o con le armi di altri). Ai suoi disegni, infatti, si oppose solo la sventura (brevità della vita di Alessandro VI e la sua malattia).

“Raccolte adunque tutte queste azioni del Duca, non saprei riprenderlo, anzi mi pare, come io ho fatto, di proporlo ad imitare a tutti coloro, che per fortuna e con l’armi d’altri sono saliti all’imperio. Perchè egli avendo l’animo grande, e la sua intenzione alta, non si poteva governare altrimente; e solo si oppose alli suoi disegni la brevità della vita di Alessandro, e la sua infirmità.
Chi adunque giudica necessario nel suo Principato nuovo assicurarsi degl’inimici, guadagnarsi amici, vincere o per forza o per fraude, farsi amare e temere da’ populi, seguire e riverire da’ soldati, spegnere quelli che ti possono o debbono offendere, e innovare con nuovi modi gli ordini antiqui, essere severo e grato, magnanimo e liberale, spegnere la milizia infedele, creare della nuova, mantenersi le amicizie de’ Re e delli Principi, in modo che ti abbino a beneficare con grazia, o ad offendere con rispetto, non può trovare più freschi esempli, che le azioni di costui”. 
Ne fa insomma un panegirico grandioso. Queste azioni, che sono quelle che deve fare un principe nuovo che acquista il principato per le armi altrui (in tal caso di suo padre) e per fortuna, lui le faceva meravigliosamente. Cionondimeno solamente si può accusarlo della creazione di Iulio pontefice. E in questa faccenda egli fece una cattiva scelta.
È una pagina bellissima, ma che cosa ci dice sotto il profilo teorico?

Insomma, in politica il concetto di errore ha senso? Se sì, allora vuol dire che c’è un modo giusto, corretto, logico, efficace di fare politica, basta impararlo e tutto funziona. 
L’errore è lo scostamento rispetto alla verità. 

Giulio II è stato un errore per Borgia? Oppure è stato colpito dalla cattiva fortuna? Machiavelli non risponde in questo capitolo, il che significa che la politica può essere oppure no oggetto di scienza? Se lo è, allora vuol dire che essa è conoscibile. Esiste un logos della politica? Se c’è, allora esiste il concetto di errore. È la domanda chiave. Il mondo può essere umanizzato? La fortuna può essere in linea di principio sconfitta? La politica può essere l’azione che trasforma il mondo a misura d’uomo? 

Ogni razionalista, ogni illuminista, anche ogni marxista risponde di sì. Infatti razionalismo, illuminismo, marxismo consistono per l’appunto nell’eliminazione della fortuna dalla politica. La politica si fonda sulla necessità storica o sul fatto che la ragione umana, se ben adoperata, senza errori, produce ordine ed espelle il caso.

È ancora l’idea che noi abbiamo della politica. Noi, tutte le volte che c’è un problema, diciamo “e dov’è il governo”? C’è il terremoto, colpa del governo; c’è un maremoto, colpa del governo; se cade un meteorite qui, colpa del governo che non ha pensato che poteva cadere un meteorite. 
Perché noi moderni ragioniamo così, noi abbiamo la pretesa che il nostro sapere pratico, cioè la nostra tecnica, ci risolva tutto, ogni caso. Dall’assicurazione sulla vita all’assicurazione contro le malattie, dall’assicurazione contro le invasioni barbariche all’assicurazione contro tutto, la politica per noi è sicurezza.

E dunque ci sono delle scienze che spiegano come si ottiene la sicurezza. Allora Machiavelli è un politologo mancato, cioè uno che pensava che la politica fosse passibile di scienza, di conoscenza razionale certa, sulla base della logica verità/errore? E poi, essendo ancora arretrata la mente umana, non è potuto diventare un politologo formalizzato come Almond?

È un politologo del Cinquecento, Machiavelli? Ha senso per lui dire “errò il duca Valentino”, cioè non ha rispettato la tal legge della politica? Oppure Machiavelli è uno che pensa che la politica non possa mai in nessun caso essere oggetto di scienza nel senso di conoscenza razionale certa? Non perché la politica non meriti tutto il nostro impegno intellettuale, ma perché – nonostante lo meriti – è fatta di una materia che sfugge per definizione al calcolo? Cioè l’impegno consiste nel confrontarsi con l’incalcolabilità del mondo? L’incalcolabilità del mondo è una brutta cosa, pensata fino in fondo fa paura.

Cioè significa che il mondo non è normabile, ma è un insieme di eccezioni scarsamente controllabili. Anomalia o norma è il segno della politica"? [...]

FINE QUARTA PARTE

PRIMA PARTE
SECONDA PARTE
TERZA PARTE
QUINTA PARTE

Nessun commento:

Posta un commento