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sabato 11 aprile 2020

Carlo Galli – Il Principe di Niccolò Machiavelli [Festival della filosofia, 17/09/2010, Sassuolo] 1/5


"Proviamo a dare un’idea della straordinaria potenza intellettuale, oltre che stilistica ed espressiva, della riflessione di Machiavelli intorno al rapporto fra l’energia umana – da una parte – e la fortuna – dall’altra –.  Questo rapporto è la politica. Per fortuna s’intende, non solo in Machiavelli, il fatto che le cose del mondo non capitano in modo tale che gli esseri umani le possano controllare. Cioè il mondo non è a immagine dell’uomo (il che è un po’ diverso dall’idea umanistica media dell’epoca di Machiavelli ).

Machiavelli è molto più che un umanista, la sua percezione acuta e drammatica è che il mondo non è fatto dall’uomo e non è fatto per l’uomo.

Tutta la cultura di questo mondo, tutto l’artificio, tutta la laboriosità del mondo… tutto ciò è suscettibile di essere spazzato via da un momento all’altro, perché l’attività umana non è sufficiente a tenere sotto controllo la complessità delle cose. O meglio, l’attività umana come viene praticata da coloro che troppo facilmente si definiscono umanisti. 

Il mondo non è facilmente razionalizzabile, Machiavelli lo sa, basta vedere l’Italia tra 1400 e 1500, percorsa da eserciti stranieri molto più forti di quelli miserabili degli italiani. Questa è la differenza tra coloro che si nutrono di chiacchiere, anche se splendide e sublimi (le corti italiane), ma incapaci di fare politica, e coloro che invece con grande rozzezza, ma con grande vigore, fanno politica. Questo è l’elemento di urgenza che c’è nella scrittura di Machiavelli. 

Machiavelli pensa in una fase della sua vita in cui, dopo aver sbagliato tutte le sue mosse politiche, è stato messo da parte dalla restaurata signoria di fatto dei Medici. Egli pensa nel momento in cui è evidente la catastrofe della civiltà umanistica italiana. Fortuna è prima di tutto la sventura. La sventura del Paese.

Machiavelli ha scritto un bel po’ di libri importanti. I due principali, scritti accavallati l’uno rispetto all’altro attorno al 1513, sono i Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio e il Principe.

L’elemento teorico fondativo del discorso che verremo a fare sta nel II capitolo del I libro dei Discorsi, dove Machiavelli descrive quella che, con un pesante anacronismo, potremmo definire la sua filosofia della storia. Era una temperie culturale, quella in cui si muoveva Machiavelli, in cui il contatto con la cultura greca e latina era ovvio. 
Machiavelli pesca, dal grande mare della teoria politica classica, il pensiero di Polibio, la ἀνακύκλωσις (anaciclosi) di Polibio, e la teoria dunque della circolarità delle forme di governo che era parzialmente presente in Platone, perfezionata in Aristotele e completata in Polibio, cioè l’idea del  passaggio ciclico necessario da una forma di governo ad un’altra, ad un’altra ancora, fino a ritornare, attraverso vari passaggi, alla prima. Questo modo di pensare il rapporto fra il tempo e la politica sembrerebbe un modo perfetto che dà spiegazione di tutto ciò che succede, dunque l’esatto contrario della fortuna. Se davvero il modello della circolarità funzionasse, le cose di questo mondo non sarebbero casuali e sarebbe prevedibile lo sviluppo dei fatti politici, sarebbe prevedibile il movimento delle forme politiche l‘una dall’altra. 

La tesi di Machiavelli è invece l’imprevedibilità di quella circolarità. Nel II cap. del I libro dei Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio, per l’appunto Machiavelli dice che ci sono coloro che dicono che c’è il cerchio nel quale si muovono le repubbliche. Questo cerchio è in linea teorica rispondente a verità, ma in linea pratica è un cerchio che non si chiude mai, perché interviene sempre qualcosa che spezza il cerchio e che fa precipitare nella rovina assoluta la repubblica. Perciò il meccanismo monarchia che degenera in tirannide, tirannide che viene sconfitta dall’aristocrazia, aristocrazia che degenera in oligarchia, oligarchia che viene sconfitta dalla democrazia, democrazia che degenera in licenza, licenza dalla quale si esce attraverso un monarca… questo meccanismo, che di per sé descrive una circolarità perfetta e dunque la prevedibilità scientifica della politica, è destinato a spezzarsi sempre. A un certo punto una forma politica concreta non ce la fa a passare attraverso tutte queste vicende, a un certo punto è troppo debole e viene distrutta da un vicino più potente. Questo è il problema. La necessaria, fatale imprevedibilità della politica". [...]

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