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lunedì 13 aprile 2020

Carlo Galli – Il Principe di Niccolò Machiavelli [Festival della filosofia, 17/09/2010, Sassuolo] 3/5

[...] "Il Principe è un’analisi tipologica delle forme politiche. Quali sono le forme politiche? Si parla di Stati (o repubbliche) ereditari e di forme politiche nuove, cioè non pervenute per eredità, e che quindi vengono formate. Quelle nuove poi, secondo il tipico metodo dicotomico del ragionamento di Machiavelli, possono essere acquisite o con la virtù o con la fortuna. 
Inoltre possono essere acquisite attraverso i delitti, e poi – altro modo ancora – questi principati nuovi possono essere ottenuti con il consenso (principati civili), e il consenso può essere a sua volta il consenso dei nobili o il consenso del popolo. 

Quali sono le differenze tra un principato nuovo acquisito attraverso la fortuna e un principato nuovo acquisito attraverso la virtù? Intanto hanno in comune il fatto che non sono civili. Cioè questo principe nuovo non ha cercato il consenso di nessuno, egli agisce sostanzialmente da solo. 
Qual è la differenza tra chi agisce da solo attraverso la virtù e chi agisce da solo attraverso la fortuna? La differenza, esplicitata nel VI capitolo, è questa: chi agisce attraverso la virtù è sostanzialmente uno che cerca di calcolare in anticipo – la dimensione del tempo è fondamentale – ciò di cui avrà bisogno in futuro. Egli segue il ragionamento del “se voglio questo, allora devo prepararmi facendo quest’altro”. Dunque, questo principe nuovo, non civile, che si prende il principato nuovo attraverso la virtù, di cui è esempio fugace Francesco Sforza, è qualcuno che prima mette le fondamenta. Si mettono prima le fondamenta del proprio potere attraverso una durissima e lunghissima opera di preparazione (faticosa), poi, con estrema facilità, il principe prende il potere. Ma prima di prendere il potere deve passare attraverso una lunghissima fase preparatoria, tutta approntata da lui. Poco divertente. A questo tipo di principe nuovo, Machiavelli dà poco spazio. Dà molto spazio invece al principato civile, cioè al principe che cerca il consenso, o del popolo o dei grandi (dei nobili).

L’altro modo, quello che consiste nel prendere il potere attraverso la fortuna, trova una trattazione celeberrima nel cap. VII del Principe, cioè quello nel quale si descrive la breve vicenda del duca Valentino, cioè di Cesare Borgia, figlio naturale del papa Alessandro VI Borgia. Egli percorre come una meteora la politica italiana negli anni finali del Quattrocento, e poi è sconfitto e messo fuori gioco da un altro grande papa che succede al padre di lui, cioè da Giulio II. 
Non è questo, come volgarmente si è ritenuto, il modello del principe per Machiavelli. Cesare Borgia è lungamente analizzato, anche con simpatia (lo conosceva personalmente), con grande partecipazione esistenziale, per dimostrare – attraverso la sua vicenda – che la fortuna è onnipotente. Nemmeno il migliore, il più intelligente, il più acuto degli avventurieri, se resta un avventuriero, fonderà qualcosa di stabile.

Il modello di Machiavelli è piuttosto il principe nuovo civile, quello che costruisce il consenso. Cesare Borgia il consenso lo cercava solo con spettacolari ondate di violenza sanguinaria. L’uomo politico strutturato come il Valentino lavora alla rovescia: prima costruisce e poi fa le fondamenta. Prima, con gran facilità (è il figlio della fortuna), con intuizione spettacolare (capace com’è di servirsi del caso, delle opportunità, delle circostanze) prende il potere. Poi, con enorme fatica e sostanziale insuccesso, cerca di dare stabilità a quel potere. Non fonda lo Stato, prima lo crea, poi cerca di fondarlo.

Ma uno Stato creato con la fortuna e con un’intelligenza tutta tattica non si riesce mai a stabilizzare. Nemmeno uno bravo come Cesare Borgia ci riuscì. Machiavelli è ammirato. Gli Stati che vengono subito, che crescono improvvisamente come funghi, come tutte le altre cose della natura (lo Stato è un pezzo di natura: qui è operativo il potente naturalismo rinascimentale, lo Stato non è ancora l’artificio tecnico-geometrico che sarà da Hobbes in poi) che nascono e crescono presto, non possono avere le barbe (le radici) e il primo soffio di vento le fa cadere. L’uomo che diventa principe nuovo grazie alla fortuna, quelle fondazioni che i principi “normali” fanno prima di divenire principi, egli le fa di poi. Il che è assai disagevole. 

Cesare Borgia, acquistò lo Stato con la fortuna del padre, e con quella lo perdette. Il duca Valentino non era però un raccomandato, perché era bravissimo. Egli è prudente e virtuoso. Prudente, cioè capace di vedere e di pensare avanti, e virtuoso, cioè energico.  Il padre lo aveva aiutato moltissimo, ma lui era bravissimo. Cercò con ogni mezzo di mettere radici nello Stato che stava costruendo, ma questo modo di lavorare non funziona.

Benché fosse bravissimo, gli capitò una cosa che era impossibile prevedere. Non fu per sua colpa se cadde. Fu sconfitto dalla malignità della fortuna, ma non commise nemmeno un errore. Però Machiavelli è qui contraddittorio. Se hai fatto un errore, se commetti uno sbaglio, anche uno solo, allora hai torto. L’errore di Cesare Borgia è stato il rovescio della fortuna (non dipeso da lui). È un uomo da portare come esempio, il caso ha avuto la meglio, sì, ma non per colpa dell’uomo. Egli ha parato tutto, tranne l’ultimo caso. Quello è stato tuttavia l’errore. 
Machiavelli qui si sta sforzando di pensare l’impossibile, cioè il rapporto tra l’ordine e il caso. Se sei sempre costretto a rispondere colpo su colpo, prima o poi sei sconfitto. Del resto non esiste uomo che riesca a far fronte vittoriosamente a tutti i casi della vita. Se si è sempre costretti a rispondere colpo su colpo, prima o poi arriva il colpo che non avevi previsto. Si può ingannare qualcuno sempre, si possono ingannare molti per un po’, ma non si potrà mai ingannare tutti sempre. Cioè, la politica è sempre instabile.

Come uscire da questa logica? Quando, anziché affidarsi all’ardimento, all’azione del singolo, ci si affida alla scienza. Ma allora non è più Machiavelli, bensì quel noioso genio di Hobbes. Mentre Machiavelli è un genio non noioso. Hobbes sostiene che commettere errori è troppo rischioso, e che occorre inventare il modo scientifico per impedire la vittoria del caso sull’azione umana. Il prezzo terribile da pagare è la perdita della libertà. Qualcosa che Machiavelli non avrebbe mai potuto pensare. Del resto Machiavelli e Hobbes sono separati da centoquaranta anni di guerre civili di religione, che hanno fatto passare agli europei la voglia di combattere contro la fortuna e contro chiunque altro, e che hanno fatto solo venire voglia della pace ad ogni costo.

Lo Stato moderno è quello di Hobbes: basta con la storia del conflitto virtù/fortuna, costa troppo. La politica ha altri fini rispetto al produrre gesta gloriose che possano essere ricordate dai posteri. Il vero fine della politica moderna è la produzione della pace, della legge, dell’ordine. Così non ci si fa male. È un altro mondo. Machiavelli non è il padre della politica moderna. È molto di più. Machiavelli è il padre di un’alternativa alla politica moderna, che non ha mai preso vita del tutto, perché troppo instabile e costosa da praticare (ma c’è questa idea ancora in Spinoza, che ammirava Machiavelli). C’è Machiavelli laddove si ragioni in termini di conflitto e non di ordine".[...]

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