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mercoledì 15 aprile 2020

Carlo Galli – Il Principe di Niccolò Machiavelli [Festival della filosofia, 17/09/2010, Sassuolo] 5/5


[...] "Il Principe, dopo aver cominciato con l’analisi delle varie forme di principato (quella su cui punta Machiavelli non è il principato nuovo acquisito con la fortuna e con le armi altrui, come quello del Valentino, ma il principato nuovo civile, costruito dall’alleanza tra il principe e il popolo), ci sono i famosi capitoli centrali sulle armi, perché il principe dà le armi al popolo alleato per difendere insieme il principato. 

Poi ci sono i capitoli dei consigli di Machiavelli al principe (far politica non è come curare la salute della propria anima, anzi, facendo politica la salute della tua anima va a pezzi. Per fare politica devi entrare nel male necessitato. Se hai paura, non fare politica).

Infine Machiavelli tira le somme. Siamo al XXIV capitolo. Si capisce innanzitutto perché i principi italiani hanno perduto il potere. Perché sono dei somari integrali che non hanno la minima idea della serietà della politica (questo passaggio è sviluppato poi nel VII libro di un’altra opera di Machiavelli, “L’arte della guerra”). Questi principi non accusino la fortuna per la perdita del proprio principato, ma la loro ignavia, la loro mancanza di prudenza durante i tempi di bonaccia. Arrivati poi i tempi avversi, la tempesta, pensarono solo a fuggire e non a difendersi. Non hanno messo tutto lo sforzo necessario nel far politica. L’immagine della tempesta è presente anche in Hobbes.

Poi si arriva al cap. XXV, in cui si tirano ulteriori somme. Ha trovato Machiavelli una nuova scienza politica, nuova, cioè non aristotelica, non scolastica? La scienza politica infatti c’era già, era il pensiero scolastico, in cui esiste il concetto di verità e il di errore, anche in politica. Verità, ad esempio, è la legge naturale. Per cui è presto detto, una politica che contraddica la legge naturale è sbagliata.

No, Machiavelli non ha trovato una nuova scienza politica. Egli ha piuttosto provato l’incalcolabilità della politica. Ciò non significa che la politica però consista nello stare fermi e seduti e farsi travolgere dal caso, da tutto ciò che ci capita. Significa altro. Cioè che il mondo è governato dalla fortuna e dalla provvidenza divina (tesi scolastica di Tommaso-Dante): la fortuna è ministra ed esecutrice della provvidenza di Dio. La fortuna è dovuta al fatto che le cose del mondo sublunare sono corrotte e quindi imprecise, però tutto ciò dipende dalla volontà di Dio (quindi non c’è problema). E inoltre esiste una norma rispetto alla quale orientare le cose del mondo, benché imprecise.

Machiavelli mette insieme due posizioni diverse, una, aristotelico-tomista, che sostiene che la fortuna/il caso è una forma bassa di essere, e la posizione stoico-epicurea, per cui la fortuna è invincibile e il saggio vi resiste nella propria interiorità. Però entrambe le posizioni non gli garbano. 

Machiavelli è portatore di una terza via. Il rapporto tra soggetto e fortuna può essere descritto in termini metafisici (come in Aristotele e Tommaso), in termini morali (il sapiente che resiste ai colpi di fortuna o del fato), oppure in modo machiavelliano: l’azione virtuosa in vista della gloria.

Vuol dire che per Machiavelli la fortuna esiste, e che allora il mondo non è fatto per l’uomo, non è razionale né pienamente razionalizzabile. Però l’uomo può tentare di porre argini. La fortuna è un fiume, e un fiume può diventare terribile quando c’è la piena e nessuno ha preparato gli argini. Ma se prima hai preparato gli argini, allora per un po’ di tempo potrai tenere il fiume nel suo alveo.

La fortuna, da un lato, e il libero arbitrio umano – inteso non come libero arbitrio conoscitivo, ma come libera energia d’azione –, dall’altro, sono i due protagonisti.

Non è vero che alla fortuna puoi opporre solo il sapere (che ti dimostra che quello che ti è capitato per caso non ti è capitato per caso), oppure, al contrario, la fortezza interiore (che ti consente di non farti smuovere nell’interiorità da ciò che capita nel mondo). C’è il terzo modo, il modo attivo. Ovvero: c’è la fortuna, ma noi mettiamo gli argini, che però non durano per sempre. Non c’è l’argine perfetto che non cederà mai al colpo della piena. Qui Machiavelli barcolla. Sostanzialmente dice: se c’è un principe molto prudente che sa andare d’accordo coi tempi, allora costui ha trovato l’argine perfetto. 
Ma andar d’accordo coi tempi vuol dire che tutto ciò che fai si accorda con l’epoca in cui vivi. Se l’epoca cambia, è impossibile trovare un uomo che sappia regolare sempre il proprio agire in tutte le variazioni dei tempi. Prendi ad esempio Giolitti prima e dopo la I guerra mondiale. Prima governa meravigliosamente, poi è travolto.  Era sempre lui, ma i tempi erano cambiati.

Quindi, tirando le somme, tra uomo e fortuna comanda la fortuna. Però questo non deve condurre all’inattività, al contrario. Bisogna continuamente tentare di “mettere barbe”, fondazioni, argini pur nella consapevolezza della crisi.

La fortuna è come una donna (nell’iconografia è dipinta così), che va battuta con impeto per domarla in quanto ribelle. Le donne, dice, preferiscono essere corteggiate da uomini impetuosi piuttosto che da uomini timidi. Il consiglio di Machiavelli è di comportarsi con la fortuna così come ci si comporta con le donne, battendole ed essendo impetuosi. 

Ciò porta a successo nel breve-medio periodo. Nel lungo periodo vince la fortuna, cioè il cambiamento dei tempi e la complessità del mondo. La politica di Machiavelli è un incompiuto michelangiolesco, come i Prigioni, come la Pietà Rondanini. La massima espressione della potenza plastica del rinascimento italiano, che, proprio perché è massimamente consapevole di se stessa, rifiuta la forma finita. Machiavelli dà della politica questa immagine, quella di una potenza plastica espressiva che non ha una configurazione finita. Michelangelo cioè non ha lasciato com’era il blocco di marmo, l’ha scolpito, ma a un certo punto ha pensato che non sarebbe mai riuscito a dare la raffigurazione di tutta la possibilità di umanità che c’è nell’umanità, e che sarebbe stato meglio lasciarlo incompiuto.

La scommessa di Machiavelli la vince Hobbes, pur perdendo tutto. In che modo? Basta distruggere il tempo, che col suo cambiamento distrugge l’uomo politico e la sua costruzione. Si tratta quindi di tenere il tempo sotto il totale controllo dell’umanità, cioè azzerarlo, fare la rivoluzione e ricominciare da capo, inaugurando l’epoca della fattibilità della politica, della fattibilità dell’ordine, della fattibilità del tempo, della fattibilità dell’uomo. 

Un’idea lontanissima da Machiavelli che anzi ne avrebbe avuto orrore. La politica non è tecnica per Machiavelli, è agone, è conflitto. La politica ha da essere bella prima che sicura. E se la vuoi bella devi correre i tuoi rischi". 

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