Nel corso del 2017, la Moderna
galerija di Ljubljana ha organizzato un ciclo di importanti mostre che illustrano la peculiarità degli anni ’80 in Slovenia e in Jugoslavia. Tra
la morte di Josip Broz e la caduta del muro di Berlino intercorre una fase
carica di premonizioni in cui è possibile cogliere in filigrana i profondi
cambiamenti politico-sociali che hanno plasmato il presente. Elementi
fondamentali per la comprensione del nostro tempo giacciono appunto in quegli
anni, e la Jugoslavia del dopo-Tito – in particolare – costituisce un ambito di
studio formidabile per capire gli sviluppi che avrebbero successivamente investito
l’Europa e l’Occidente. Le questioni drammatiche che sono andate a
specificarsi allora sono infatti le stesse che attualmente dominano la contemporaneità: il complesso rapporto tra Stato e sovranità, i conflitti tra lavoro
e capitale globale, le relazioni tra democrazia ed economia, i contatti tra politica e arte.
Dal 1980, diversi movimenti
artistici tentarono energicamente in Jugoslavia di trascendere la parabola del
socialismo al crepuscolo e le circostanze sociali in cui l’arte risultava
ancora implicata, tanto criticando direttamente la situazione politica di
allora, quanto cercando di sviluppare un mercato dell’arte. Artisti e
lavoratori impiegati nei settori culturali divennero catalizzatori per nuovi
fenomeni artistici e sociali. Si aprirono nuovi spazi urbani che divennero
presto luoghi d’incontro per l’elaborazione di azioni politiche e culturali in
grado di investire la società a tutti i livelli e trasversalmente. Uno di
questi centri, luogo di attrazione per molti giovani artisti e teorici, fu
certamente la Galerija ŠKUC di
Ljubljana. Tale spazio divenne un laboratorio per mettere alla prova nuove
prospettive attraverso la manipolazione di media differenti, dirigendo nel contempo il tiro della critica sulla sclerotizzata
cultura istituzionale e sulle teorie impolitiche del modernismo.
A Maribor, a
Koper e in altre città, la cosiddetta “alternative scene” andava rafforzandosi
anche grazie all’apporto di giornali come Tribuna e di riviste come Mladina
e Problemi. Le persone coinvolte vedevano le
proprie attività strettamente connesse a una pratica intrinsecamente
socializzante e collettiva. Lo scopo era quello di stabilire una differenza tra sé e le
politiche culturali mainstream, espressioni dell’ideologia dominante, evitando nello
stesso tempo l’emarginazione, e anzi cercando di ottenere un riconoscimento
sociale e politico. Particolarmente illustrativo di tale volontà fu
l’evento-festival Homoseksualnost in kultura (1984).
Furono dunque anni febbrili
quelli che scandirono il decennio della lenta disintegrazione della federazione
jugoslava: un arco temporale costellato da paradossi, eclettismi,
trasformazioni, confronti duri con le vecchie strutture di potere; anni di crisi
economica e politica, anni di entusiasmante creazione di nuovi
paradigmi, di costruzione di ponti tra l’arte istituzionale e gli spazi dell’insorgente
(sub) cultura alternativa, nella consapevolezza anti-dogmatica del profondo
nesso che sempre lega la dimensione estetica alla prassi politica. Moltissimi
furono i contributi dati allo sviluppo di questo passaggio culturale, dagli
scritti teorici della “nuova sinistra” ai gruppi post-strutturalisti; dai
circoli lacaniani ai movimenti femministi. Un elemento che teneva insieme una
tale congerie di produzioni eterogenee era il comune spirito di rivolta aizzato contro
l’egemonia culturale del tempo. D’altro canto, il sistema politico ammetteva
una certa critica, al fine di proiettare pubblicamente un’immagine di sé positiva e tollerante.
(Fine prima
parte)
Fonti: Osemdeseta/
the Eighties – Petek, 21. Aprila 2017. Izdala Moderna galerija,
Ljubljana.
Qui la seconda parte
Qui la seconda parte
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