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venerdì 22 luglio 2011

Toni Negri - "Moltitudine e singolarità nello sviluppo del pensiero politico di Spinoza” (3/3)

E qui, dunque, il rapporto tra singolarità e moltitudine è teleologico, ma si tratta di una teleologia che non ha nulla a che fare con la teologia. La finalità viene qui dal basso, è intrinseca alla praxis, e quindi al conflitto, cioè a un movimento etico del fare moltitudine.



La conclusione dell’etica spinoziana, in termini politici, non è ricostruzione dell’organico, ma costruzione continua, sempre aperta, sempre rischiosa del comune. “Il bene che ognuno che segue la virtù appetisce per sé lo desidererà anche per gli altri uomini e tanto più quanto maggiore sarà la conoscenza che avrà di Dio” – Eth, IV, 37. E ciò risulta tanto più chiaro quando si tiene presente Eth, IV, definizione 8: “Per virtù e potenza intendo la stessa cosa, cioè la virtù, in quanto si riferisce all’uomo, è la stessa essenza dell’uomo, ossia la sua natura in quanto ha la capacità di fare certe cose che possono essere comprese mediante le sole leggi della sua natura”.


Quando interviene la conoscenza di III genere, quando s’impone la scienza intuitiva, allora la sintesi di singolarità e moltitudine è completa (Eth, V, 35-36). Questa conoscenza intuitiva è interna alla praxis, costituisce comune (Eth, II, proposizione 40, scolio 2). Il processo e il movimento delle singolarità, dopo avere attraversato la condizione esistenziale, si producono nel comune. L’esistenza produce se stessa come comune, e produce il comune come moltitudine. Non ci sarebbe possibilità di mettere assieme la singolarità nella moltitudine, se la costruzione del comune non fosse un processo continuo e solidale.


Tutte le difficoltà che a questo sviluppo si oppongono sono determinazioni negative, assenza d’essere, insufficienze o cadute del processo costitutivo, cioè del processo del desiderio di libertà.


Il dispositivo teleologico scopre la sua condizione dal basso, si pone come tensione tra povertà e amore. La povertà dell’uomo che nasce misero e incapace di sopravvivere se la solidarietà di tutti gli altri uomini non lo sostiene nel farsi soggetto di socialità. Ma è solo l’amore che ci estrae da questa povertà, l’amore come forza ontologica, collettiva, che non ha nulla a che fare con l’idea che dell’amore si è fatto l’individualismo possessivo, oppure il misticismo religioso.


Mi siano qui permesse alcune annotazioni. In primo luogo, l’eminenza pratica del fare, e di un fare teleologicamente appuntato al comune. È articolato su un processo logico, il fare le idee comuni, (un fare) che è realistico e sperimentale. Si tratta di un passaggio necessario, praticamente articolato, dall’ontologia della singolarità a quella del molteplice. In secondo luogo, allora, a me sembra molto difficile opporre a questo cammino pratico della ragione delle riserve scettiche, quasi che la costituzione dell’essere comune potesse essere indifferente alla comunanza che l’amore determina nel generare la vita e nell’organizzarla politicamente.


Se il male o il fascismo sono in agguato nel rapporto che si spende tra l’essere e il fare moltitudine (il fascismo dell’animalità dell’uomo, oppure l’automatismo come formalismo astratto dell’obbedienza), se la nostra vita è continuamente costretta a confrontarsi con queste regressioni (d’altra parte lo stesso rapporto con la monarchia e con l’aristocrazia rivela regressione nel discorso sul comune spinoziano), bene, questo non potrà mettere in dubbio il movimento della moltitudine, né la sua tensione verso la libertà, a meno di non pensare che l’uomo, anziché la vita, desideri la morte, e di considerare la resistenza non un atto etico, ma suicida.


Torniamo ora alla critica che Nietzsche [qui l’audio è compromesso per qualche secondo] teleologia costituita dalla singolarità, e costitutiva della moltitudine, è impossibile. La simpatia di Nietzsche per Spinoza, tanto attiva quando si tratta di rivelare il materialismo spinoziano, altrettanto è chiaramente negativa quando si tratta di togliere al materialismo spinoziano l’elemento costitutivo, creativo. Non mi soffermerei su questo aspetto se non fosse che oggi vedo tornare in alcuni autori un’interpretazione mistica del naturalismo spinoziano, e quindi una sua implicita liquidazione. La rivoluzione che nell’interpretazione di Spinoza si era data intorno al ’68 sembra oggi bloccata da un revisionismo che, in questo ambito (come in troppi altri), ritorna a considerare Spinoza come un “ismo”. Quello che mi ha fatto sobbalzare è stato un articolo di Tom Nairn, eppure autore della New Left Review. Un articolo in cui egli svolgeva contro alcuni nostri amici un’accusa in cui faceva correre l’idea – molto nietzscheana – secondo la quale, quando si parla di Spinoza nel modo in cui noi ne abbiamo parlato, si accede a una redemption business, a un affare di salvazione, a un movimento salvazionista, un movimento spiritualista. Quel che mi spaventa non è tanto che siano degli spiritualisti a dire questo (attraverso un’analisi fondamentalmente rinnovata del pensiero spinoziano), ma quando dei materialisti come Ton Nairn e la New Left Review accedono a queste posizioni, ho l’impressione che costoro abbiano del materialismo una concezione solo ed esclusivamente triste, e della vita politica – essi stessi – un’idea fascista.


Grazie.

2 commenti:

  1. ti sei fatto un lavoro mica male!
    grazie!

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  2. Ma è stato anche un piacere :-) ricordo volentieri quel convegno. Purtroppo ho potuto seguire solo i lavori di una giornata...

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